Lunga vita a Michele

Esco sola a notte inoltrata, in alto una falce di luna bianca nel buio nerissimo e il caos luminoso della via lattea che tintinna come un grande lampadario di cristallo. Improvviso e brusco un nodo si stringe al diaframma, quello in cui sono immersa non è silenzio e io non sono sola. Un ululato spacca l’aria e si arrampica tra i bagliori del cielo prendendosi un sacco di spazio, spazio che per difetto di specie ritengo troppo spesso disabitato. Rientro in casa ed ho come l’impressione che uno sguardo altro mi abbia seguita finché la porta non si è chiusa alle mie spalle. Solo allora il morso al diaframma si scioglie: di cosa ho paura? Di non essere sola? Che là fuori siano troppi e troppo diversi? Sorrido della mia stupidità e finisco per rallegrarmi. Esistere insieme ad altri rende il mio vivere decisamente più ricco ed accettabile. Nel bene e nel male, ben oltre i nostri concetti di morale o giustizia, gli altri viventi, animali e non, aggiungono valore alle nostre esistenze rendendole meno tristi e più reali. Se non avessimo nient’altro che il nostro riflesso con cui confrontarci saremmo condannati ad una solitudine che equivale all’estinzione. 

Un ululato spacca l’aria e si arrampica tra i bagliori del cielo prendendosi un sacco di spazio, spazio che per difetto di specie ritengo troppo spesso disabitato

Alle quattro e mezza del mattino il telefono alla fine aveva squillato. Siamo usciti di casa in fretta e senza parlare, l’agitazione rompeva il torpore, i vestiti erano già pronti dalla sera prima a cavallo della sedia. Eravamo sagome avvolte dal buio; nel gelo della notte le dita gesticolavano goffe nel tentativo di allacciare le giacche mentre scariche elettriche di aria fredda risalivano il naso. Era la notte di Santa Lucia e mentre qualche fiocco di neve ricamava l’aria una delle trappole alla fine era scattata davvero.

Come Occhio Nascosto Dei Sibillini abbiamo avuto la possibilità di seguire da vicino quello che viene chiamato monitoraggio della fauna selvatica. Una delle pratiche più affidabili di cui disponiamo per conoscere e comprendere meglio la storia e le abitudini di alcuni animali particolarmente elusivi. Il soggetto di studio in questo caso è il Lupo appenninico.

La mattina l’avevamo trascorsa con Davide Pagliaroli, uno dei tecnici faunistici dello IEA, Istituto di Ecologia Applicata di Roma, che su incarico del Parco Nazionale dei Monti Sibillini si occupa proprio di questo monitoraggio. Con lui abbiamo seguito le impronte nella mota, annusato ginepri e cespugli in cerca delle zone di marcatura, esaminato gli escrementi. Baptiste Morizot ci ha già risvegliati sul tema del tracciamento. Di fatto quando seguiamo delle tracce stiamo riconoscendo l’esistenza di altri, altri per cui manifestiamo interesse e di cui proviamo a interpretare la storia. Seguire le tracce con il solo fine della conoscenza, svincolati dalla logica predatoria del cacciatore, rimane allora nient’altro che una pratica geopolitica orientata verso i problemi quotidiani e primari della coabitazione.

Di fatto quando seguiamo delle tracce stiamo riconoscendo l’esistenza di altri, altri per cui manifestiamo interesse e di cui proviamo a interpretare la storia.

Lo scopo del tracciamento in questo caso era piazzare quattro trappole per catturare un esemplare del branco di lupi che occupa questa zona per munirlo di radio collare satellitare. Allestire una trappola per un lupo non è così elementare. Bisogna cercare di capire dove passerà, conoscere il suo modo di procedere evitando sempre gli ostacoli e anche avere ben chiaro che il lupo conosce il bosco e i sentieri molto meglio di noi. Poche piccole cose sfuggiranno ai suoi sensi: può bastare un banale odore umano a insospettire un animale selvatico. Davide si è mosso con sicurezza e rapidità, trappole perfettamente mimetizzate, meno segni possibili che indicassero il nostro passaggio e solo qualche esca olfattiva come attrattore. Ora non restava che aspettare. 

Abbiamo percorso il sentiero immersi nella nebbia e nel vapore delle espirazioni, trafelati, quasi correndo, senza badare alle pozzanghere e al fango. Davanti a noi, illuminata dalle frontali, appariva la sagoma di un giovane lupo. Il mio battito cardiaco era sicuramente irregolare ma non ho provato paura. Mi sono sentita invece a disagio e a tratti persino meschina; sotto una nevicata che stentava ad aderire agli alberi e a coprire il sentiero troppo bagnato quel giovane lupo stava lottando disperatamente per la sua libertà e la zampa anteriore destra nel laccio era l’ostacolo che gli impediva di scappare il più lontano possibile dall’unico predatore che teme.

Mi sono sentita invece a disagio e a tratti persino meschina; sotto una nevicata che stentava ad aderire agli alberi e a coprire il sentiero troppo bagnato quel giovane lupo stava lottando disperatamente per la sua libertà

Non sono riuscita a provare piacere né tantomeno entusiasmo. Vedere un animale selvatico in trappola è deprimente e credo che prima o poi tutti i tecnici e i professionisti che si occupano delle catture si confrontino, durante il proprio percorso, con il dubbio: ma starò davvero facendo la cosa giusta? 

Gli anni di esperienza hanno perfezionato le tecniche, reso le trappole assolutamente innocue. I tempi tra la cattura e la sedazione sono brevissimi come pure quelli di manipolazione effettiva dell’animale. I dati vengono raccolti rapidamente sul campo tenendo sempre come priorità lo stato di salute dell’animale. Anche la tecnologia dei radio collari si è evoluta. Rispetto ai primi modelli utilizzati in Italia negli anni ‘70 dal biologo e pioniere Luigi Boitani ora questi strumenti sono molto più leggeri e meno ingombranti nonché decisamente più efficienti. Inoltre la pessima esperienza di contatto con gli uomini potrebbe anche indurre tutto il branco ad evitare comportamenti confidenti, diventa infatti praticamente impossibile riprendere lo stesso lupo due volte, e gli studi ci dicono che il trauma della cattura insieme al fastidio del radio collare, incidano solo marginalmente sulle abitudini degli animali che in poco tempo riescono a tornare alle loro normali esistenze.

gli animali, seppur rimangono potentissimi ricettacoli di significati umani , esistono, vivono, respirano e si riproducono ben al di fuori delle nostre lenti culturali e della gabbia dei nostri occhi.

Entrare nell’ottica di un altro vivente è complesso e spesso, forse perché tendiamo a riconoscere solo ciò che ci somiglia, trasferiamo emozioni e caratteristiche proprie della nostra specie ad altri animali. Non credo ci sia nulla di sbagliato in questo riflesso empatico, anzi, probabilmente l’immedesimarsi è una fase essenziale della vera conoscenza, ma come ci suggerisce l’antropologo Franz Boas bisogna anche ricordare che gli animali, seppur rimangono potentissimi ricettacoli di significati umani, esistono, vivono, respirano e si riproducono ben al di fuori delle nostre lenti culturali e della gabbia dei nostri occhi. 

Il lupo che avevamo davanti era un giovane di circa sette mesi, nato con l’ultima cucciolata primaverile. Mentre i tecnici IEA, Davide e il veterinario Andrea Di Pascasio, si occupavano della pesa, dei parametri biometrici e delle analisi del sangue per le verifiche genetiche ho avuto modo di sfiorare il pelo bagnato, annusarlo, percepire il battito cardiaco, i denti e le orecchie, la coda rigata di nero, ho confrontato le mie zampe alle sue, ho osservato il lupo da vicino: l’evoluzione ha pensato davvero a creature eccezionali. Intanto continuava a nevicare ed io mi sono preoccupata che potesse sentire freddo, evidentemente solo perché io avevo freddo, ma io non sono un lupo anche se spesso nella mia vita mi ritrovo a guardare agli animali con un misto di ammirazione ed entusiasmo, ed un lupo non è me.  

ho avuto modo di sfiorare il pelo bagnato, annusarlo, percepire il battito cardiaco, i denti e le orecchie, la coda rigata di nero, ho confrontato le mie zampe alle sue, ho osservato il lupo da vicino

Al momento del risveglio l’animale era spaventato, temporeggiava prima di uscire dal box in legno, forse preferiva rimanere lì dentro piuttosto che vedere ancora le nostre facce senza pelo. Allora, riumanizzandolo, ho sperato ci perdonasse per il fastidio e la paura, per la puzza d’animale-uomo che ora aveva addosso, ho sperato comprendesse che per ora questa è la miglior carta che possiamo giocarci per imparare a rispettarli, per cercare di proteggere, soprattutto da noi stessi, la sua specie. Avrei voluto ululargli che confido in un tempo nuovo in cui uomo e lupo non saranno mai più schierati come eserciti antagonisti.

Avrei voluto ululargli che confido in un tempo nuovo in cui uomo e lupo non saranno mai più schierati come eserciti antagonisti.

L’ultima volta che l’ho visto usciva dal box e si riprendeva la sua vita selvatica. È sparito correndo nella nebbia portando con sé il nostro desiderio di convivenza. Dovremmo sempre avere in mente che il futuro dell’uomo è inesorabilmente intrecciato alle esistenze di tutti gli altri viventi.

In accordo con l’ente parco abbiamo deciso di chiamare il giovanissimo lupo Michele, in memoria di un amico e collega, Michele Sensini, che amava queste montagne in modo viscerale e che come un lupo questo territorio l’ha sempre, con rispetto, pattugliato. Sperando anche che il suo branco, la sua famiglia e i suoi amici, trovino conforto nel sapere che sono in tanti a non smettere di pensarlo. 

Lunga vita a Michele! 

Riferimenti

B. Bellonzi, P.Poeti – Una specie in estinzione, c’era una volta il lupo – Documentario 1975

Baptiste Morizot – Sulla pista animale – Nottetempo, 2020

Helen Macdonald – Il falco – 2019

Carl Safina – Al di là delle parole – Adelphi Edizioni, 2018, Animalia 1

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *