Avvolta dai suoni dell’acqua in un’estate che ha prosciugato anche gli occhi.
I pensieri cavalcano senza sella la lingua di un torrente estraneo alla paralisi dell’incertezza.
Lassù eco di colpi di mortaio, il filo spinato strappa, la testa di un fiammifero gratta contro il vetro macinato.
Precipita oggi, innocuo e letale, qualche pezzo di cielo.
Frammenti di specchio rotto rimangono incastrati tra le rocce porfiriche e rododendri inesplosi.
Le cime galleggiano tra flotte velocissime, di nuvole e tritoni.
Macerie vegetali raccontano una storia che soffia ancora.
Pecci arrugginiti dal bostrico e montagne troppo nude.
Larici e abeti instancabili ricamano e sferruzzano nuove vesti di aghi.
Mi porto a casa lo sguardo fiero del vecchio che contempla il puzzle grandioso della sua legna per l’inverno.
Mi porto a casa la luce intrigante del fulmine che filtra fin sotto le coperte.
Mi porto a casa una terribile congestione con vomito e diarrea, perché un po’ d’acqua di quel torrente argentato dovevo assaggiarla.
I primi di agosto siamo partiti per l’Alta Via Lagorai Panorama. Sentivamo parlare del Lagorai da anni ed era diventato per me una fissazione. La bellezza delle Alpi appena fuori dall’imbottigliamento del grande turismo estivo. La catena del Lagorai è un gruppo montuoso del Trentino orientale, territorio vastissimo, incontaminato e poco abitato, a due passi dal Parco naturale Paneveggio Pale di San martino. Non ci vorremmo soffermare su indicazioni pratiche visto che i siti di riferimento sono molto ben aggiornati e il trekking in questione dura solo 3-4 giorni ma vorremmo provare ad offrirvi alcune riflessioni e qualche spunto tra il serio e il faceto. Il testo con cui abbiamo aperto l‘articolo è già di fatto una piccola anticipazione di quello che il Lagorai ci ha offerto e qui allora condensiamo alcuni punti salienti in comodi e tascabili cachet.
Il primo lago che vedrete vi sembrerà un sogno, siate bravi e parsimoniosi e conservate la stessa emozione per gli altri cento che vi aspettano. La catena del Lagorai è un po’ un alter ego delle Dolomiti, le sue scure rocce porfiriche, a differenza della dolomia bianca, sono perfetti scrigni d’acqua, cieli capovolti in cui eleganti tritoni alpini sguazzano tra piante acquatiche e i riflessi delle cime. Il panino al prosciutto e formaggio mangiato a bordo lago con i piedi a mollo tra le nuvole non lo scorderò facilmente.
Nonostante la siccità dell’estate 2022 il Lagorai aveva ancora la voce piena e forte delle cascate e dei torrenti. Dopo mesi di aridità vedere tutta quell’acqua ci ha quasi commossi e mi ha sempre più convinta che sarebbe meglio organizzarsi in anticipo e comprare il prima possibile casa in montagna.
Preparatevi perché tutta quell’acqua fresca e cristallina che scorre tra le valli non solo stimola la diuresi ma induce anche a credere che debba essere per forza tutta potabile. Io non ho resistito, era davvero buonissima ma la diarrea e il vomito li ho avuti comunque.
Se avete la diarrea e il vomito i rifugisti non è detto che vi coccolino come avrebbe fatto vostra madre. Era l’ultimo giorno e io e Stefano abbiamo dovuto prendere due strade diverse perché nelle mie condizioni non avrei mai potuto percorrere la tappa completa. Stefano è partito prima lasciandomi qualche ora in più per godere del delizioso bagno in legno del rifugio e dopo poco, anche io, carta igienica in braccio, mi sono incamminata vacillando verso il primo paese a valle. Lì sono stata salvata da Stefano che ha divorato in tempi record la tappa per soccorrermi il prima possibile. Chissà se le mie marcature sul sentiero resistono ancora.
Il rifugio Caldenave ci ha deliziati, Val di Caldenave e Vall’Orsera sono dei gioielli e i rifugisti davvero bravi, motivati, con belle idee, attenti e sorridenti. Al nostro arrivo c’era chi raccoglieva mirtilli e lamponi e chi invece si godeva placidamente la luce del sole di montagna sul viso. Io sono stata svegliata dal mio sonnellino da una bambina stupendamente selvaggia che nitriva spensierata, davvero nitriva, come un cavallo vero. La notte si scatenò un temporale apocalittico con fortissima grandinata che mi fece andare fuori di fase il battito cardiaco: scesi nella sala comune a guardare a bocca aperta la luce dei lampi inondare la valle, la stanza e la mia faringe.
Se volete incontrare tanta gente lungo i sentieri non è il posto adatto per voi. Era agosto e sui sentieri in tre giorni non abbiamo incontrato più di dieci persone. Il telefono prende poco e mai e bisogna stare preparati e attenti a non farsi male e sapere come chiedere aiuto. I rifugi e i bivacchi sono pochi come pure i punti d’acqua potabile. Ragionevolmente cercate quindi di non andarci, come è successo a me, con uno come Stefano che quando decide che è tardi e allunga il passo lo rivedi, se ci arrivi, solo più tardi a fondovalle.
Abbiamo incontrato pochissimi animali, tritoni, qualche rapace, gracchi, farfalle e insetti. Ma nessun grande mammifero né particolari tracce della loro presenza. Mi è mancata la facilità di incontro che abbiamo in alcune zone dell’Appennino centrale. Mi sono accontentata delle vacche e degli asinelli.
Ad agosto del 2022 leggevamo sul territorio ancora molto evidenti i segni del passaggio di Vaia. Per chi non lo sapesse Vaia è stata una tempesta catastrofica che nell’ottobre del 2018 ha messo in ginocchio gran parte del nord Italia con venti fino ai 200km/h. Milioni di metri cubi di legname sono stati abbattuti. Molti versanti, forse troppo ripidi, non sono stati bonificati dagli alberi caduti e molti pecci, seppure ancora in piedi, appaiono arrugginiti dal bostrico che dilaga per la quantità di legno marcescente. Sono anche tanti però i versanti in cui è evidente il meticoloso lavoro di rimboschimento.
La vista di cima d’Asta ci ha fatto rimpiangere di non aver aggiunto una notte in più al trekking per raggiungerla. Dalla forcella delle Buse Toedesche fino alla forcella Magna, come pure scendendo verso il rifugio Consèria la vetta grigia di cima d’Asta è un canto delle sirene. Insomma prendetevi un giorno in più per questa piccola deviazione se non volete il mio stesso rimpianto.
Pensare a queste montagne meravigliose e a questi sentieri come zone di guerra, vederne le tracce nei piccoli reperti bellici che espongono nei rifugi, i cimiteri degli alpini, i ricordi ai caduti e le vecchie postazioni strategiche rende il nostro camminare liberi e senza divisa militare molto significativo. Sono già in troppi al Mondo quelli che sono morti per la libertà o per i capricci di qualcun’ altro; sarebbe davvero ora che ci stancassimo di fare la guerra.
1° tappa
da passo Manghen al rifugio Caldenave Dislivello 1087 mt in salita, 1335 mt in discesa
Sviluppo: 15,8 km
2° tappa
Dal Rifugio Caldenave al Rifugio Consèria Dislivello: 908 mt in salita, 860 mt in discesa
Sviluppo: 12,6 km
3°tappa
Dal rifugio consèria a passo Manghen Dislivello: 831 mt in salita, 637 in discesa
Sviluppo: 12,6 km